ARSINOE, SCAVI 1964/1965

Arsinoe è la denominazione del capoluogo del nomos Arsinoites, l’attuale Faiyûm, entrata nella tradizione ad opera dei geografi da Strabone in poi. La città in epoca faraonica si chiamava Shedet e in età tolemaica ebbe dapprima il nome di Κροκοδίλων πόλις (perché città sacra a Sobek, il dio-coccodrillo) e in seguito la designazione alternativa Ptolemais Euergetis (in onore del re Tolomeo VIII Evergete II). In epoca romana si aggiunse – e poi ebbe il sopravvento – il nome di Ἀρσινοιτῶν πόλις (città degli Arsinoiti), da cui la forma breve Arsinoe. In età araba, a sud dell’antico sito, fu fondata la città di Medinet el Faiyûm.



Nell’Ottocento l’area archeologica si estendeva per circa 4 km2 a nord dell’abitato moderno ed era costituita da numerosi cumuli di detriti, fra cui il più famoso, il Kôm Fares, dette il nome di Kîmân Fares all’intera zona. Nel corso del tempo la sua superficie andò progressivamente riducendosi a causa dell’espansione di Medinet el Faiyûm. Quando l’Istituto Papirologico, per richiesta dell’allora direttore Vittorio Bartoletti, ottenne la concessione di scavo, l’area occupata dalle rovine si era ridotta a meno della metà.


L’attività di scavo si svolse dal 5 dicembre 1964 al 24 febbraio 1965, sotto la direzione di Sergio Bosticco, coadiuvato da Manfredo Manfredi, Edda Bresciani e Claudio Barocas, in una ristretta zona di 12.500 m2 (Kôm el-Arabi) che aveva al centro resti di colonne fascicolate in granito rosso di Amenemhet III, a sud del temenos di un tempio in onore di Sobek.


Affiorarono resti di edifici termali, di condutture idriche, di pozzi e di una cisterna, databili all’età romana.



Di un altro edificio, nel Kôm el-Taiara, sussisteva ancora un tratto di muratura in blocchi di arenaria, con un’iscrizione, attestante sovrani tolemaici, in cui si nominava un teatro.




Lo scavo procedette in quattro settori. Nel settore centrale molti spezzoni di colonne presentavano indizi di una riutilizzazione a sostegno di un acquedotto romano che attraversava la città da Nord a Sud, di cui sussistevano resti di tubature cilindriche in terracotta.


 


Sulle colonne furono letti nomi di sovrani dalla XII alla XX dinastia, ma non fu trovata traccia di alcun tempio. Tuttavia, poco più a est, fu messo in luce un basamento quadrato di 2,20 m di lato, costruito con blocchi di calcare.

Nei settori sud-est e sud, dopo la rimozione di una grande quantità di frammenti di ceramica, che formavano uno strato spesso fino a 2 m, fu portato alla luce un complesso architettonico in mattoni crudi di età tolemaica – come testimoniano le monete e le ceramiche qui rinvenute – che poggiava su fondamenta costituite, in parte, da anfore adagiate orizzontalmente.

In età romana questi ambienti, adiacenti a canalizzazioni collegate all’acquedotto principale, furono parzialmente riutilizzati, come dimostra una pavimentazione in calcestruzzo giacente allo stesso livello delle strutture termali della città. Connessi con i canali erano la cisterna ellittica a sud e i pozzi.




Nel settore nord-ovest furono scoperti sette vani, delimitati da muri in mattoni crudi alti 1,50 m. In uno degli ambienti affiorò un pavimento in terra battuta. In altri due, a circa 50 cm sotto le fondamenta, furono identificate costruzioni più antiche, in mattoni crudi più grandi di quelli del livello superiore.

Come risulta dal rapporto di scavo, pochi furono i reperti in situ, come il vasellame dei pozzi e della cisterna, nonché alcuni oggetti in pietra inseriti nei muri. Provengono invece dai cumuli di detriti le lucerne, le statuette e le anse d’anfora con bolli.



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