Arsinoe è la
denominazione del capoluogo del nomos Arsinoites, l’attuale Faiyûm, entrata nella
tradizione ad opera dei geografi da Strabone in poi. La città in epoca
faraonica si chiamava Shedet e in età tolemaica ebbe dapprima il nome di Κροκοδίλων πόλις (perché città sacra a Sobek, il dio-coccodrillo) e in seguito la
designazione alternativa Ptolemais Euergetis (in onore del re Tolomeo VIII
Evergete II). In epoca romana si aggiunse – e poi ebbe il sopravvento – il nome
di Ἀρσινοιτῶν πόλις (città degli Arsinoiti), da cui la forma breve
Arsinoe. In età araba, a sud dell’antico sito, fu fondata la città di Medinet
el Faiyûm.
Nell’Ottocento l’area
archeologica si estendeva per circa 4 km2 a nord dell’abitato moderno
ed era costituita da numerosi cumuli di detriti, fra cui il più famoso, il Kôm
Fares, dette il nome di Kîmân Fares all’intera zona. Nel corso del tempo la sua
superficie andò progressivamente riducendosi a causa dell’espansione di Medinet
el Faiyûm. Quando l’Istituto Papirologico, per richiesta dell’allora direttore
Vittorio Bartoletti, ottenne la concessione di scavo, l’area occupata dalle
rovine si era ridotta a meno della metà.


L’attività di scavo si
svolse dal 5 dicembre 1964 al 24 febbraio 1965, sotto la direzione di Sergio
Bosticco, coadiuvato da Manfredo Manfredi, Edda Bresciani e Claudio Barocas, in
una ristretta zona di 12.500 m2 (Kôm el-Arabi) che aveva al centro
resti di colonne fascicolate in granito rosso di Amenemhet III, a sud del temenos di un tempio in onore di Sobek.
Sulle colonne furono
letti nomi di sovrani dalla XII alla XX dinastia, ma non fu trovata traccia di
alcun tempio. Tuttavia, poco più a est, fu messo in luce un basamento quadrato
di 2,20 m di lato, costruito con blocchi di calcare.
Nei settori sud-est e
sud, dopo la rimozione di una grande quantità di frammenti di ceramica, che
formavano uno strato spesso fino a 2 m, fu portato alla luce un complesso
architettonico in mattoni crudi di età tolemaica – come testimoniano le monete
e le ceramiche qui rinvenute – che poggiava su fondamenta costituite, in parte,
da anfore adagiate orizzontalmente.
In età romana questi ambienti, adiacenti a canalizzazioni collegate all’acquedotto principale, furono parzialmente riutilizzati, come dimostra una pavimentazione in calcestruzzo giacente allo stesso livello delle strutture termali della città. Connessi con i canali erano la cisterna ellittica a sud e i pozzi.
In età romana questi ambienti, adiacenti a canalizzazioni collegate all’acquedotto principale, furono parzialmente riutilizzati, come dimostra una pavimentazione in calcestruzzo giacente allo stesso livello delle strutture termali della città. Connessi con i canali erano la cisterna ellittica a sud e i pozzi.
Nel settore nord-ovest
furono scoperti sette vani, delimitati da muri in mattoni crudi alti 1,50 m. In
uno degli ambienti affiorò un pavimento in terra battuta. In altri due, a circa
50 cm sotto le fondamenta, furono identificate costruzioni più antiche, in
mattoni crudi più grandi di quelli del livello superiore.
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